Commento critico di Vittorio Sgarbi

Luciano Trevisan definisce le sue opere "avvertimenti espressivi". Non raffigura eventi, non propone soluzioni, ci pone davanti a problemi ogni giorno più attuali. Come un enigmista, con pochi elementi trasmette il suo messaggio a chi vuol capire: la bianca colomba della pace è appesa ad un filo come un panno sporco; del sangue cola da una tela dove una donna con in dosso le bandiere di America e Iraq culla il suo bambino; incollate su un barile di benzina vi sono foto di persone, adulti e bambini, le vittime del petrolio.
Presagi carichi di enfasi, inquietanti e veritieri, come i sogni che affollarono l’ultima notte di Cesare.
Nato all’alba della seconda guerra mondiale, Trevisan cresce tra Venezia e Milano osservando un’Italia che si risolleva dalle macerie del conflitto e le opere d’arte dei grandi maestri. E’ a Zurigo, però, che il suo spirito artistico si appaga. Lì tra i libri, scopre la corrente del funzionalismo e si appassiona al razionalismo metodologico-didattico della Bauhaus di Walter Gropius, a quello formale di Le Corbusier e a quello empirico di Alvar Aalto. Anche quando il progresso getta lampi di benessere, l’occhio di Trevisan è lucido e critico. Tornato in patria, si afferma come pubblicitario professionista, ma non smette di dipingere, fino a farne la sua vera e unica attività.

Create con grande capacità di sintesi e forza espressiva, illuminate da accese tonalità dell’acrilico, le sue opere sembrano urlarci "guardami e rifletti", lasciandoci senza respiro, colpevoli e impotenti, forse. Il suo è un linguaggio in apparenza criptico, ma basta poco per sciogliere il nodo e cogliere il significato. Si rivolge, senza intellettualismi, ad un pubblico ampio e la sua critica non risparmia nessuno.
Trevisan ci ricorda la profonda differenza tra ascoltare e sentire, guardare e vedere, sapere e conoscere. Tra l’essere consapevoli dell’esistenza di determinati problemi della nostra società e l’essere coscienti che questi riguardano anche noi. Come uno schiaffo sulla guancia, così le sue opere ci ricordano le contraddizioni sociali, le disparità, gli abusi, la violenza e il silenzio della Chiesa. Ci colpiscono con potenza, invitandoci a saltare in sella in difesa di un mondo che si sta autodistruggendo. Il segno c’è, il messaggio pure, tutto sta a ricordarlo una volta distolti gli occhi.

Vittorio Sgarbi